Tra la vita e la morte: cosa ne sappiamo veramente? (parte seconda)

Le esperienze ai confini della morte sembrano essere alquanto diffuse. Tra il 1961 e il 1979, il cardiologo USA Fred Schoonmaker studiò centinaia di casi di arresto cardiaco, rilevando che la percentuale dei pazienti che avevano vissuto in uno stato di “coscienza extrasomatica” (ovvero la mente staccata dal funzionamento del Sistema Nervoso Centrale) era alquanto alto, il 60% dei casi esaminati. Dal momento che è facile fare confusione tra un’esperienza ai confini della morte e una in punto di morte, ci pare il caso di annotare la definizione di Near Death Experience (N.D.E.) proposta dal medico italiano di rinomanza internazionale Aldo Sodaro:
“Per esperienze di pre-morte si intendono i vissuti riferiti dai pazienti nei quali una qualsiasi condizione, traumatica, tossica o patologica, abbia determinato un arresto temporaneo dell’attività cardiaca, respiratoria, dei riflessi e della coscienza.”
Nel dicembre 2001, sulla rivista medica The Lancet venne pubblicato un articolo intitolato Near-death experiences in survivors of cardiac arrest: a prospective study in the Nederlands (“NDE di sopravvissuti ad arresti cardiaci: un’indagine estensiva in Nederlands”) firmato dal cardiologo nederlandese Pim Van Lommel e dalla sua equipe.
In quell’articolo venivano mostrati i risultati di un’indagine svolta dal dr. Lommel assieme ai suoi collaboratori (molto simile a quella del collega USA Schoonmaker), portata avanti per una decina d’anni, condotta su 344 sopravissuti ad arresti cardiaci, in modo da studiare la frequenza, la causa e il contenuto delle loro eventuali N.D.E.
Era risultato come 282 pazienti (l’82%) non conservavano alcun ricordo durante il periodo di incoscienza, mentre un 18% – corrispondente a 62 pazienti – riferì di aver vissuto una N.D.E., con tutti gli elementi che contraddistinguono un’esperienza ai confini della morte: presenza di O.B.E. (Out of Body Experience, esperienza fuori dal corpo), percezione di tunnel di luce, persone conosciute defunte e “la visione della propria vita come se fosse un film”.
Tra i due gruppi di pazienti non c’era nessuna differenza per quanto riguarda la modalità di assistenza, la durata della crisi cardiaca, il fatto che fossero o meno intubati, la paura di morire, la distinzione sessuale, il grado di istruzione e altri parametri come – importante – il fatto che conoscessero o meno i racconti sulle N.D.E.
Naturalmente, l’articolo – molto dettagliato – del medico nederlandese non fece che provocare fastidio e scandalo tra le fila dell’ambiente scientifico ufficiale, visto che in pratica veniva asserito come vi fosse una buona percentuale di possibilità che la coscienza NON fosse un prodotto del Sistema Nervoso Centrale quindi, in pratica che la coscienza potesse fare a meno del corpo per essere consapevole di se stessa e vivere esperienze.
Tra i più accesi critici dell’impostazione empirica fu Michael Shermer il quale, nel marzo 2003, nello spazio della sua rubrica su Scientific American la quale ha un titolo abbastanza eloquente, The skeptic, “Lo scettico”, scrisse che le indagini di Van Lommel & C segnavano un punto a sfavore dell’idea che mente, coscienza e Sistema Nervoso Centrale possano separarsi, siano due cose diverse, quando, invece, l’articolo su The Lancet dei ricercatori nederlandesi sosteneva una tesi diametralmente opposta, e supportata dalle PROVE – senza le quali la scienza non prende in considerazione nulla – che mostravano, invece, come testimonianze di una coscienza attiva e vigile abbiano luogo anche in presenza di attività cerebrale azzerata, ovvero encefalogramma piatto, ovvero MORTE CLINICA.

Secondo il giornalista Jay Ingram di Discovery Channel, l’uso che Micheal Shermer, nella sua rubrica “Lo scettico”, ha fatto delle tesi di Pim Van Lommel è fraudolento poichè Shermer ha presentato le prove del medico nederlandese in maniera distorta per avvallare il suo punto di vista. Egli non ha chiarito che la sua era un’interpretazione diversa dell’articolo di Van Lommel. Quest’ultimo, successivamente, ha replicato all’articolista di Scientific American presentando una lunga e dettagliata risposta in cui, tra l’altro (riconfermando punto per punto le prove empiriche raccolte), paragona il Cervello e il Sistema Nervoso collegato ai sensi a una sorta di RICEVITORE, come può essere un telefono, una radio, un televisore, il quale capta ricordi e coscienza da un CAMPO di energie affini all’elettromagnetismo. Van Lommel fa notare come le immagini che vediamo sullo schermo non sono all’interno del televisore, i suoni prodotti dalla radio non hanno origine da essa ma da un “altrove” che ci attraversa come onda elettromagnetica (guarda caso, la radio è anche lo strumento degli studi psicofonici, sulle voci da un’altra dimensione!), Internet non si trova all’interno del computer il quale visualizza i dati che giungono dall’ “altrove” della linea telefonica, e la voce di una persona al telefono non viene prodotta da questo ma solo “trasportata”.
Nonostante queste considerazioni, le quali non hanno proprio nulla di “paranormale”, la biologia (che è una disciplina scientifica notoriamente molto conservatrice) continua a vedere la COSCIENZA come un semplice e banale prodotto (mortale) del cervello, e le esperienze ai confini della morte (N.D.E.) le giudica come dovute a una anossia (mancanza di ossigeno) cerebrale, la quale produrrebbe eventi neuronali scambiati per il famoso “tunnel di luce bianca” e cose di questo tipo, volendo dimenticare che le N.D.E. hanno luogo quando è già avvenuta la MORTE CLINICA, quando l’elettroencefalogramma non segnala alcuna attività neuronale, quando il Sistema Nervoso Centrale è, insomma, SPENTO.
Dello stesso avviso di scettici come Micheal Shermer è – come si può ben immaginare – anche il Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale (C.I.C.A.P.), in cui spiega come il famoso “Tunnel di luce” nel quale la coscienza delle persone si sente passare in stato di premorte, sarebbe dovuto all’ANOSSIA (ossigeno che non perviene al cervello perchè la circolazione del sangue si interrompe) e, insomma, il Comitato – nella veste di Armando De Vincentis – liquida infine le N.D.E. come “un fenomeno inquadrabile nell’ambito dei naturali processi psicofisiologici”.
Personalmente, vogliamo spezzare una lancia a favore sia di Micheal Shermer della rubrica “Lo scettico” su Scientific American che di Armando De Vincentis del C.I.C.A.P.: infatti la questione “esperienze ai confini tra la vita e la morte”, tende pericolosamente a sbandare spesso verso la creduloneria, la superstizione religiosa e “paesaggi celestiali new age” i quali fanno pensare a un approccio di tipo fideistico piuttosto che di tipo scientifico. Ma, d’altra parte, è anche vero che l’attitudine tipica dei professionisti della scienza ufficiale è quella di considerare esclusivamente la ripetibilità di un evento in un ambiente chiuso per vedere in esso la prova scientifica dimostrata ed degna di essere registrata in modo da “suffragare la realtà delle cose.”
Siamo del parere, per concludere, che – osservando le ricerche di Van Lommel, Schoonmaker e numerosissime testimonianze non prese naturalmente in considerazione dalla scienza ufficiale – si possa ritenere come la presenza della Coscienza anche al di fuori del funzionamento del cervello sia più di una possibilità, ma c’è pure da considerare la difficoltà da parte dell’essere umano “ritornato dalla morte”, di riuscire a ricordare VERAMENTE (non interpretando a posteriori) cosa gli è accaduto, cosa ha percepito in quella dimensione dove la coscienza in cui si è identificato, che sente come SUA, se ne andava a zonzo nei territori dove lo spazio e il tempo non hanno lo stesso significato che rivestono per i VIVENTI.
E’ probabile che se ne sia già discusso su queste pagine WEB, ma siamo persuasi che il Sistema Nervoso – Sensoriale che dà forma percettiva al corpo con cui ci siamo identificati in questo spaziotempo, più che un ricevitore – con gli “apparecchi sensoriali” paragonabili a una fotocamera e a dei ricevitori di suoni, per esempio – sia un LOCALIZZATORE: un qualcosa che localizza la coscienza in un determinato frammento dello spaziotempo, il quale inizia in un punto e finisce in un altro.

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